Tre riflessioni sulle elezioni regionali #SAR2014

Lo dico sin dall’inizio per evitare polemiche inutili: io non sono uno degli indecisi che sta ancora valutando chi votare alle elezioni regionali, il prossimo 16 febbraio. Non sono un giornalista (né credo che i giornalisti debbano essere imparziali), né un militante o un candidato per nessuno dei partiti di cui parlo qui sotto. Il mio sostegno va a Sardegna Possibile. Perciò chi lo desidera, e non è disturbato da un’interpretazione assolutamente schierata e parziale della campagna elettorale in corso, può proseguire nella lettura. Quelle che seguono sono le ragioni per cui considero le coalizioni di centrodestra e centrosinistra inadeguate a governare la Sardegna per i prossimi cinque anni, le stesse per cui credo invece che quella di Sardegna Possibile sia una proposta coerente che vada considerata con molta attenzione. Continue reading “Tre riflessioni sulle elezioni regionali #SAR2014”

La campagna indipendentista per le regionali 2014, vista da fuori

[…] provate a mettervi in bilico, come se foste dentro quell’infinitesimo e infinito istante in cui si annuncia che i voti favorevoli in un referendum di indipendenza sono la maggioranza, o nel momento in cui scocca la mezzanotte che separa il giorno prima dell’indipendenza e il giorno dopo in cui si è un nuovo Stato del mondo. Se ci riuscite sentirete tutta la vorticosa forza della circolarità creatrice. Quella che tiene insieme sovranità e indipendenza. Indipendenza e sovranità. Quella forza creatrice che si rinnova ogni giorno, anche nel più piccolo gesto, quando riusciamo a tradurre in pratica di cambiamento della società sarda la nostra coscienza nazionale di popolo, o quando in una piccola azione di trasformazione della realtà riscopriamo quale sia il gusto e quanto sia giusto diventare indipendenti. Guai dunque a chi rompe la circolarità. Viva invece chi ogni giorno lega, per il bene dei sardi e della Sardegna, la sovranità e l’indipendenza.

Queste sono parole dall’irrequieto Franciscu Sedda, semiologo, già co-fondatore di iRS, passato a ProgReS e in seguito uscito dal partito per curare il progetto Fiocco Verde, ora animatore del progetto Is Novadores ecc., che si avvita un una pericolosa speculazione sul tema “indipendenza e sovranità”. Di fatto, Sedda ha dato vita ad un soggetto politico insieme a Paolo Maninchedda, già PSd’Az (con Cappellacci alle ultime elezioni), in vista di un’ingresso nell’area del centro-sinistra sardo (in poche parole, si alleano col PD). La proposta del Fiocco Verde di istituire un’agenzia sarda delle entrate, inoltre, sebbene fosse stata definita tecnicamente a-partitica, è stata il trampolino di lancio per la nuova mossa politica di Sedda, che ha messo questo provvedimento in cima alle priorità del suo programma elettorale. Il motivo dell’ingresso nel centro-sinistra sarebbe la necessità di un passaggio graduale verso l’indipendenza, che non si può ottenere essendo solo duri e puri. Si cerca di sdoganare il famigerato unionismo, in pratica. La posizione di Sedda è oggetto di continue critiche da parte di A Manca pro s’Indipendentzia: Cristiano Sabino, in un articolo su ilminuto.info, parla dell’invasione di “ultracorpi” dalle ambizioni piccole piccole:

In prima fila c’è Francesco Sedda, che dopo aver giurato e spergiurato sul fatto che il Fiocco Verde non era una mossa elettorale pone al centro delle sue trattative con il centro sinistra proprio l’agenzia sarda delle entrate del fiocco verde. C’è Maninchedda, l’uomo prendi i voti e scappa che, disossato il Psdaz, sta cercando approdi più gratificanti. C’è Mr 44/88 Muledda e le sue letterine al “compagno Bersani”, che si atteggia a Caronte dell’indipendentismo verso il centrosinistra italiano (leggi l’articolo). Questi i primi ad esporsi e a fare outing, ma la lista è drammaticamente destinata ad allungarsi. Le ragioni della svendita sono quelle di sempre: “bisogna pur entrare nelle istituzioni”, “anche nei partiti italiani ci sono sardi”, “li contaniamo dall’interno”, ecc. […] In effetti quello che viene fatto passare come grande strategia entrista non è altro che un’opera da mendicanti di sediette (poltrone è una parola grossa). La realtà è questa: l’indipendentismo rischia di essere ostaggio delle ambizioni personali di una serie di personaggi pronti a svenderlo per un piattino di lenticchie. Con tutta probabilità avremo ultracorpi “sovranisti” ovunque: chi andrà con M5S esaltandandone i temi anticorruzione, chi con il PD per non si sa quale motivo, chi con SEL perché sono sensibili alle tematiche ecologiche, chi con Cappellacci per i suoi spot su zona franca e flotta sarda. Ultracorpi ovunque, tutti alla ricerca di briciole più o meno sostanziose.

A Manca, da parte sua, ha lanciato da tempo l’idea di un blocco nazionale indipendentista, auspicando l’unione di tutte le forze indipendentiste, necessaria anche per superare lo sbarramento del 15% imposto dalla legge elettorale approvata di recente. La proposta non è certo nuova nel suo genere: molte forze più o meno indipendentiste fremono già dalla voglia di creare listoni accomunati dall’obiettivo dell’indipendenza, a patto di stare dietro la cattedra a guidare la coalizione. Così il Laboratorio Gallura ha iniziato a convocare rappresentanti di tutti gli schieramenti ad assemblee che si tengono a Olbia (ottenendo, da poco, il rifiuto netto di A Manca), mentre Michela Murgia ha dato un preavviso di un mese prima di sciogliere le riserve sulla sua candidatura con ProgReS, il 3 agosto, tempo che sta utilizzando per cercare di riscuotere il consenso necessario a creare una coalizione di forze indipendentiste da presentare alle elezioni con un progetto credibile. Neanche questa mossa è piaciuta a quelli di A Manca, che la scrittrice ha liquidato malamente in un passaggio di un’intervista al sito sassarinews:

Il secondo filone è di tipo ideologico: quasi tutti i movimenti indipendentisti, in quanto movimenti di liberazione, vengono dalla sinistra extraparlamentare. Alcuni hanno mantenuto questa connotazione per cui non sognano solo la Sardegna indipendente ma indipendente-socialista. E questo fa capire come sia un doppio salto carpiato da un trampolino rotto.

Da qui in poi, ho perso il filo. iRS ancora tace. Gli altri partitini non contano nulla. Che sta succedendo al mondo indipendentista sardo? Si sta già arrivando a stracciare tutto per poi riproporre la situazione da incubo del 2010? Spero che almeno stavolta si trovi l’umiltà necessaria per accettare di fare da gregari quando il progetto più credibile prenderà forma, e questo sarà possibile solo se ci sarà una volontà reale di creare un blocco dove nessun partito singolo sia predominante rispetto agli altri e accetti di cedere il passo, e non è facile. A leggere certe cose ho paura che vada a finire con ogni partito che propone ostinatamente la sua coalizione di partiti indipendentisti e finisce con l’allearsi solo con sé stesso. L’altra strada, invece, potrebbe portare dritti a quell’anno zero dell’indipendenza di cui parla Nicolò Businco su sardiniapost, un momento in cui «l’indipendenza potrebbe per la prima volta uscire dalla carta dei programmi e confrontarsi con la realtà politica», magari bruciando alla partenza chi ha deciso di passare alle marce ridotte per eccesso di pragmatismo. Me lo auguro di cuore.

In Sardegna non ci torno più

Ieri mattina è venuto in ufficio un signore con baffi e capelli grigi a pagare la notte trascorsa in porto. Mentre sbrigava le pratiche abbiamo scambiato due parole a proposito del crollo degli arrivi di questa stagione. La cosa ha iniziato a prendere una piega un po’ diversa dalla solita chiacchierata quando ha affermato che secondo lui noi sardi ci staremmo suicidando a causa di tariffe alte, controlli eccessivi e divieti irragionevoli lungo la costa, che quest’anno hanno fatto scappare tutti gli yacht in Corsica e verso altri lidi più accomodanti. Il ragionamento andava più o meno così: “la costa smeralda è l’attrazione principale della Sardegna, di conseguenza se lì lavorano moltissimo voi qui lavorate molto; anche un negozio dove io vado a comprare due moschettoni lavora grazie al turismo, perciò le barche portano benessere quando arrivano, bisogna essere elastici e chiudere un occhio su tutti questi divieti altrimenti così la gente la fai scappare via. Che mi metti a fare un divieto di sosta, per tre mesi che dura la stagione? L’anno scorso hanno fatto un’area marina protetta là, ma che accidenti l’hanno fatta a fare? Non mi lasci fermare ed ancorare lì, ma io non lo so. Uno deve essere libero di venire e visitare e fermarsi dove vuole, poi non ci sono i servizi”, eccetera eccetera.

Ho pensato subito all’articolo di Gramellini su La Stampa di qualche giorno fa, che esprime in poche parole il sentimento di soddisfazione nel vedere che questo tipo di turismo si stia togliendo di mezzo per andare a cercare altrove paradisi da spremere (anche se nutro ragionevoli dubbi sul tipo di serietà a cui aspira questo paese):

Sloggiati a forza dalle calette proibite della Maddalena, i possidenti di megayacht reagiscono con accenti che mescolano lo stupore all’arroganza, minacciando di non tornare mai più in Sardegna. Sono oligarchi russi, principi tedeschi, evasori italiani. Vorrei li accompagnasse il mio personale augurio di buon viaggio. Vadano a inquinare le coste croate, francesi o lillipuziane: qui da qualche tempo si cerca di diventare un Paese povero ma serio. È il risvolto ironico di questa estate deprimente. Finché eravamo la patria dei finti divieti e degli scontrini fantasma, il mondo degli ultraricchi ci frequentava disprezzandoci. Adesso che cominciamo a pretendere il rispetto delle regole, i moralisti di ieri si indignano per l’inaudito capovolgimento del luogo comune che ci vuole accomodanti e servili. E usano l’unica arma a loro disposizione, i soldi. Così ogni slancio di pulizia viene sottoposto al ricatto economico, che purtroppo la crisi rende particolarmente efficace.

Una piscina sul mare negli hotel Delphina a Valle dell'Erica

Alla tesi diffusa secondo cui la competitività dell’offerta turistica debba necessariamente comportare la rinuncia alle regole e lo sfruttamento indiscriminato del territorio mi riesce sempre più difficile non rispondere con un affanculo. Va però riconosciuto che molte delle colpe per la diffusione di questa mentalità di consumo sregolato sono da attribuire a noi locali, prima ancora che a quella categoria di turisti che pagando pretendono. Col tempo si è assestato un equilibrio anomalo fra chi visita la nostra terra e chi offre ospitalità, impostato secondo il modello del villaggio turistico e ricalcato in centinaia di copie un po’ ovunque, nella periferia della sfavillante costa smeralda. Spesso ciò significa che i servizi sono di scarsa qualità mentre i costi si mantengono a livelli piuttosto alti; certamente, però, la conseguenza più grave di tutto ciò è la perdita dei tratti caratteristici della cultura e della personalità locale a favore di un’offerta standardizzata e tipica solo in una misura folkloristica e non autentica. Un posto vale l’altro nel mondo dei villaggi turistici e dei marina, ed è per questo che Corsica, Sardegna o Croazia non fa alcuna differenza. Eppure noi avremmo tutte le carte in regola per promuovere un tipo di turismo del tutto diverso, interessato alla cultura e alle tradizioni locali e stimolato dalle risorse del territorio che possiamo mettere a disposizione. Potremmo puntare, per esempio, ad avere un turista che sia un ospite anziché un cliente a cui spremere il portafogli, e a ridefinire quell’equilibrio che è completamente estraneo alla nostra cultura e alle nostre tradizioni.

Un turismo diverso è possibile

In un articolo di qualche anno fa, l’antropologo Bachisio Bandinu analizzava le possibilità di incontro fra l’ospitalità tradizionale e la cura dell’accoglienza turistica, evidenziando come uno dei tratti più caratteristici della proverbiale ospitalità sarda sia da ricercare nell’assonanza tra hostis e hospitis:

Dichiarata l’ospitalità, da parte di chi la dà e da parte di chi la riceve, si entra nello statuto di ospite che fa scattare la ritualità dell’accoglienza nella dimensione dell’offerta totale. L’ospite è affrancato da ogni incombenza, è garantito in tutte le sue necessità. Non deve pensare a nulla, gli viene dato tutto gratuitamente. Ospitalità nel mangiare, nel dormire, nella comunicazione, negli inviti al bar, ai pranzi. E’ un sentimento di grande umanità ma a ben vedere questo eccesso di attenzione non riesce a cancellare del tutto quell’antico fantasma di hostis, di estraneo, di possibile nemico. L’ospite non ha diritto di cittadinanza, non è uno della comunità, è “di fuori”. C’è dunque una valenza sottaciuta, appena sfiorata, di ostilità nell’ospitalità più dichiarata. E’ un uomo garantito: tutto gli è concesso ma nella disposizione attenta di non intralciare le regole della comunità, dell’essere come dire indifeso davanti all’ospitalità. Non ha auctoritas, non può dire: io voglio cambiare le regole. Si ha cura di lui purché si abbandoni alle usanze. […]

Ciò non significa affatto che un’offerta basata su un principio simile debba regalare tutto al visitatore, tenendolo allo stesso tempo a distanza di sicurezza, ma ci ricorda piuttosto che le nostre comunità sono capaci di un’ospitalità distinta e personalissima che è possibile trasportare nelle pratiche dell’accoglienza turistica, anche su scala più larga:

E’ possibile un passaggio dall’ospitalità antropologica tradizionale alla cortese cura dell’accoglienza turistica? Un traghettamento di un’antica ritualità verso il servizio nuovo di tipo turistico? Appartenendo a due universi è possibile il trasferimento di un’abitudine o di un sentimento da una cultura all’altra? […] Mi è capitato di osservare a Su Gologone di Oliena il linguaggio del corpo delle ragazze nell’approccio col cliente. Vestite in “blusa e funedda” senza adombramenti folkloristici, con una regalità di atteggiamento, si dimostravano attente e sollecite, ma senza invadenza, con naturalezza e riservatezza. Ti si avvicinano, sembrerebbe strano, tra atteggiamento di regine e di inservienti, senza dimensione di recita e senza manierismi professionali. Perché questo è il punto: nella cultura sarda la recita è considerata negativa. Cioè se tu sei troppo ossequioso, se tu esageri nella dimensione manieristica “ses maniatica”, sei presa da manìa. Rivolgersi continuamente al cliente [chiedendogli] se si trova a suo agio è una forma d’invadenza e di disturbo: è un tipo di gentilezza che non appartiene al linguaggio dei sardi. Questo linguaggio della massima sollecitudine e della vigile riservatezza sarebbe la forma più distintiva di un nuovo stile comunicativo.

(Almanacco Gallurese 2008-2009, Sassari, Giovanni Gelsomino Editore, pp. 41-43)

Al di là del singolo esempio riportato qui sopra, un’integrazione intelligente fra la forma tradizionale di ospitalità e un’offerta commerciale può e deve esistere, e potrebbe far nascere una forma inedita e raffinata di ospitalità, quella che si confà maggiormente ad un turismo di lusso, scrive Bandinu. Mi permetto di dissentire su un punto: una forma di ospitalità che si basa sui valori tradizionali e offre una partecipazione più autentica alla vita della comunità, anziché il soggiorno in ghetti turistici creati appositamente, dovrebbe essere l’offerta di base per qualunque fascia di turismo che intenda visitare la nostra terra. Non può esistere un turismo di lusso, trattato con riverenza, accanto a quello di massa sbattuto in mega-residence con appartamenti a tre piani costruiti come alveari e venduti per poche migliaia di euro. Non è più pensabile la distruzione delle coste per la realizzazione di villaggi dai nomi esotici e del tutto estranei al territorio circostante, così come non ci si dovrebbe più sforzare inutilmente di fare assomigliare a questi ultimi i paesini di pescatori già presenti da tempo sulla costa. Un esempio di questa tendenza è l’autorizzazione di nuove concessioni balneari private sul litorale del nostro comune, accompagnata dal disinteresse verso la creazione di servizi di indubbia utilità quali bagni pubblici e mezzi di trasporto locali (esiste anche un paesino davvero niente male a sei chilometri dal mare, e pochissimi parcheggi affollati di auto inutili).

Se il locale sa ospitare con dignità, anziché rinunciare al proprio spirito per far strada ad un’accoglienza superficiale riservata al “bestiame” turistico, il rispetto e l’amore per la terra da parte del turista arrivano da soli, come conseguenza del rispetto che egli ha per sé. L’approccio del turista verso la località che lo ospita esce così dalla logica dello sterile sfruttamento della zona e dei servizi che offre, e il rispetto delle regole non viene più visto come un disservizio non previsto nella tariffa di soggiorno. E’ auspicabile che in futuro una terra come questa sarà capace di fare un’auto-selezione, spedendo a ragione i turisti che non stanno alle regole del gioco verso altre destinazioni, con gli auguri nostri e di Gramellini.