Tre riflessioni sulle elezioni regionali #SAR2014

Lo dico sin dall’inizio per evitare polemiche inutili: io non sono uno degli indecisi che sta ancora valutando chi votare alle elezioni regionali, il prossimo 16 febbraio. Non sono un giornalista (né credo che i giornalisti debbano essere imparziali), né un militante o un candidato per nessuno dei partiti di cui parlo qui sotto. Il mio sostegno va a Sardegna Possibile. Perciò chi lo desidera, e non è disturbato da un’interpretazione assolutamente schierata e parziale della campagna elettorale in corso, può proseguire nella lettura. Quelle che seguono sono le ragioni per cui considero le coalizioni di centrodestra e centrosinistra inadeguate a governare la Sardegna per i prossimi cinque anni, le stesse per cui credo invece che quella di Sardegna Possibile sia una proposta coerente che vada considerata con molta attenzione.

Ugo Cappellacci (centrodestra)

Eletto cinque anni fa con lo slogan la Sardegna torna a sorridere, forse il governatore uscente non si aspettava una simile congiuntura di eventi negativi concentrati proprio negli ultimi venti giorni della sua campagna elettorale.

Il 22 gennaio l’UE contesta i finanziamenti pubblici alla Flotta Sarda, fiore all’occhiello del mandato di Cappellacci: la Saremar dovrà restituire 10,8 milioni di euro alla regione. Cappellacci annuncia un ricorso, ma anziché provvedere a tranquillizzare i lavoratori della compagnia (che nel caso il ricorso non dovesse andare a buon fine saranno probabilmente vittime di massicci licenziamenti), accusa Michela Murgia di essere finanziata da Vincenzo Onorato[1], il quale annuncia immediatamente una querela per il governatore.
Neanche il tempo di riprendersi e arriva la minaccia di una sanzione fino a 250mila euro da parte dell’AGcom per la violazione delle regole di par condicio sul sito della regione: Cappellacci aveva pubblicato una sezione, Detto fatto, con cui pubblicizzava l’operato della propria giunta a spese dei contribuenti. Costretto a correre ai ripari, elimina il link nel giro di poche ore.

La coalizione di centrodestra, nonostante la martellante propaganda del leader in merito a rivendicazioni autonomistiche (di tanto in tanto sconfinano in un indipendentismo sardista di bassa lega) che trovano espressione nei partiti pro-zona franca integrale, ospita anche partiti nazionalisti[2] come Fratelli d’Italia, che già in queste ore si sono opposti all’eventuale referendum per l’indipendenza dell’Isola proposto da Cappellacci e PSd’Az, in sostanza solo l’ennesimo tentativo di pesca a strascico del fallimentare governatore.

Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro: vale la pena ricordare che Cappellacci si trova al suo posto in seguito ad una una campagna serrata che ha visto come unico protagonista un Silvio Berlusconi in forma smagliante, nel 2009, dopo la distruzione pubblica di Renato Soru e della famigerata “legge salvacoste”. Allora Cappellacci venne eletto anche grazie al sostegno politico degli imprenditori del mattone di ogni parte dell’isola che non vedevano l’ora di liberarsi dei vincoli troppo rigidi imposti da Soru. A sentirlo scandire gli slogan della campagna elettorale odierna, sembra quasi che il tempo si sia fermato a cinque anni fa, e che tutto ciò che è avvenuto nel frattempo vada considerato, nel migliore dei casi, come un necessario e inevitabile periodo di preparazione / meditazione.

Francesco Pigliaru (centrosinistra)

Poi c’è l’economista Francesco Pigliaru, figlio del grande giurista e studioso di Gramsci Antonio Pigliaru, già ex assessore della giunta Soru, candidato dal PD dopo il ritiro forzato di Francesca Barracciu (ma non tesserato PD) e accolto con entusiasmo dal variegato mondo della coalizione del centrosinistra sardo (comunisti, indipendentisti/sovranisti, zonafranchisti critici, ecc.).

La dote fondamentale del candidato è senza dubbio la competenza: è unanime il coro che definisce il professore “preparatissimo”, con tutti i requisiti necessari per occuparsi del governo dell’isola. Questo un po’ mi sorprende, perché dimostra come l’urgenza di presentare un volto credibile abbia fatto chiudere gli occhi a molti sui contenuti dell’economista Pigliaru, che in più occasioni non ha certo nascosto il suo sostegno alle misure di austerità imposte dalla troika nel 2011/2012 e applicate dal governo Monti, né tantomeno il suo essere tifoso della riforma del lavoro di Pietro Ichino; Pigliaru è convinto che Marchionne abbia ragione e che la ricetta per la crescita sia un aumento della produttività e un ripensamento del lavoro in base alla concorrenza dei mercati cinesi, in nome della competitività. Insomma, un esponente di quella che lui stesso definisce “un’altra parte della sinistra”[3]: per volergli bene, come minimo bisogna guardare al centro.
Pigliaru si definisce un renziano “della prima ora”, e intende far sì che la Sardegna diventi un terreno di sperimentazione per le riforme del mercato del lavoro di cui abbiamo parlato poco sopra (è utile ricordare che con il Dlgs 180/2001 lo Stato delega alla regione alcune funzioni amministrative in materia di lavoro):

[…] succede che la mia cultura economico-politica sia molto vicina a quella che Renzi ha portato dentro la segreteria del PD. Quando parliamo di stare molto attenti nell’aiutare i disoccupati a trovare nuova occupazione stiamo parlando di quei pezzi di visione “moderna” dell’essere di sinistra che Renzi incarna benissimo oggi. […] Io credo che la Sardegna potrà essere una regione in cui si faranno in anticipo rispetto a ciò che succederà nel prossimo governo Renzi alcune politiche moderne del mercato del lavoro, politiche attive a favore della disoccupazione, e naturalmente dell’istruzione e della formazione. [4]

Forse vale la pena ricordare che l’unità di intenti con il nuovo segretario del PD si traduce in progetti di riforma del mercato del lavoro mirati alla progressiva riduzione degli impedimenti legislativi ai licenziamenti e al potenziamento del lavoro flessibile. In altre parole, una “evoluzione intelligente dei modelli di lavoro” che punta dritta all’abolizione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, quello che in casi specifici tutela i dipendenti dai licenziamenti ingiustificati, ed è considerato un vincolo insostenibile da un fronte trasversale che da tempo cerca di eliminarlo, arrendendosi all’ultimo momento per timore di scatenare una rivolta.
Naturalmente non c’è traccia esplicita di questo nel programma: piuttosto, si legge l’intenzione di investire molte risorse nella riorganizzazione dei CLS (Centri di Servizi per il Lavoro, pp. 9-10), affidando a questa interfaccia tra disoccupati e mondo del lavoro il compito di censire le forze e redistribuirle dove il mercato le richiede. La regione in tutto questo si limita a incentivare apprendistati, finanziare tirocini formativi coi voucher per le fasce disagiate, in generale promuovere contratti di lavoro atipici e flessibili. Tutta un’altra storia rispetto all’idea di intervento diretto della regione che caratterizza i micro-modelli di Sardegna Possibile, di cui parlerò più avanti.

Non intendo entrare nel merito delle scelte di IRS e Partito dei Sardi (su quest’ultimo avevo già scritto qualcosa l’estate scorsa); sottolineo solo che le dichiarazioni dei leaders di questi partiti si limitano a “Pigliaru ci ha promesso attenzione riguardo a [istanza X]”, “il nostro appoggio è per Pigliaru e non per il PD”. Nel concreto, il programma parla di una revisione dello statuto, del rafforzamento del sistema autonomistico (p. 50) per proseguire lungo una “storia autonomistica di cui siamo fieri” (p. 4). Non c’è traccia di “sovranità” e “indipendenza”. Non ho idea di quale sia l’autonomismo di cui andare fieri, né quali accordi abbiano stipulato con Pigliaru indipendentisti e sovranisti, ma sono sempre stato dell’idea che le battaglie genuinamente indipendentiste non possono essere condotte al fianco dei partiti italiani, con cui si riproporrà il solito conflitto di interessi, e purtroppo non c’è verso di convincermi del contrario.

Michela Murgia (Sardegna Possibile)

Con  il delinearsi del carattere di Sardegna Possibile e l’avanzare della campagna elettorale, Michela Murgia ha progressivamente spazzato via una “sensazione” di qualche mese fa, quando il progetto pareva imbevuto di post-ideologia in stile M5S, con il tema del’indipendentismo tenuto un po’ in sordina per non spaventare l’elettorato che aveva meno confidenza con le sue evoluzioni degli ultimi anni. In una recente intervista a Micromega, la scrittrice ha strutturato con più precisione ciò che chi la segue poteva già intuire da tempo, ma che tuttavia andava messo nero su bianco:

Pd e Pdl sono figli della stessa razza, hanno prospettive e consorterie comuni. Mentre tra destra e sinistra rimane una profonda differenza. Non aborro le ideologie. Io non li chiamo clandestini ma cittadini, credo nella priorità della scuola, della cultura, nella tutela dei beni comuni. La sicurezza non si elargisce con maggiore controllo o sanzione bensì con equità e giustizia sociale. Non condivido l’ideologia meritocratica: ci deve essere uno sbarramento minimo di dignità per dare a tutti gli stessi benefici, anche a chi privo di strumenti.

In questo momento chi attacca Sardegna Possibile e Michela Murgia, tacciando lei e il suo gruppo di qualunquismo e di riproporre il cliché “né destra, né sinistra”, dopo la pubblicazione del programma e le dichiarazioni di intenti, sta dicendo una banale falsità: fa soltanto un calco delle categorie preconfezionate in voga nel discorso politico italiano, a scopo esclusivamente propagandistico. Dovrebbe essere chiaro, invece, che a livello ideologico il PD non sta a sinistra in misura molto maggiore di quanto il PDL (o ciò che ne rimane) non sta a destra, ma soprattutto che secondo il punto di vista di Sardegna Possibile non si possono che considerare PD e (ex)PDL come due facce dello stesso sistema di potere decentrato che nei decenni di autonomia ha messo la regione in ginocchio. Dunque non “destra” e “sinistra” in quanto ideologie: si parla di partiti italiani in senso stretto. Questo è il motivo per cui gli attacchi verso Michela Murgia arrivano con la stessa violenza da entrambi gli estremi del poverissimo spettro del bipolarismo nazionale: in un primo tempo si è persino arrivati a chiedere su uno dei più importanti quotidiani regionali il ritiro della lista dalla competizione elettorale, per non intralciare la marcia di Francesco Pigliaru verso Villa Devoto.

Una delle grandi sfide di Sardegna Possibile è riuscire a dimostrare alla maggioranza del popolo sardo che l’indipendentismo non mette i brividi e non rischia di riportare l’isola nel medioevo, o peggio di segregarla in un embargo, ma rappresenta solo una presa di coscienza collettiva che in molti casi è già matura, e che occorre solo mettere a fuoco:

La Sardegna è un’anomalia: al fattore sinistra si associa il tema dell’indipendentismo. A noi interessa dare soggettività politica ai sardi, non moralizzare il Pd o lavorare per costruire nuove liste nazionali. Voglio vedere la mia terra felice e autogovernarsi. Siamo il serbatoio energetico del Paese e abbiamo rinunciato alla nostra vocazione agricola. Vogliamo, insieme, raccontare una storia in cui non si è più servi di nessuno. E l’indipendenza nasce innanzitutto sul piano culturale, solo dopo si tramuta in proposta politica.

Michela Murgia dice che la Sardegna è un’anomalia, e se guardiamo alla genesi di Sardegna Possibile e all’insieme di ideali che stanno alla base del progetto, anche il progetto stesso è un’anomalia non da poco nello scenario politico nazionale. Si tratta innanzitutto di un movimento esclusivamente sardo, nato per iniziativa del partito indipendentista ProgReS e del tutto staccato dai partiti presenti sul resto del territorio nazionale (a differenza, ad esempio, del M5S che è nato a livello locale, ma già diffuso su scala nazionale). In secondo luogo, Sardegna Possibile aumenta il proprio consenso proponendo una via d’uscita a sinistra dalla crisi economica che schiaccia la Sardegna, in una nazione che si sta inclinando sempre più a destra, dove il tema della flessibilità del lavoro è considerato patrimonio di una “nuova sinistra”, e il M5S deve scendere a compromessi con la destra e strizzare l’occhio all’elettorato conservatore su alcuni temi, perché altrimenti rischia di perdere voti. Collocarsi chiaramente a sinistra non è una possibilità contemplata dai cultori del post-ideologico, sempre meno dal centrosinistra nazionale.

Le idee in materia di lavoro sono radicalmente diverse da quelle del candidato di centrosinistra, e sono strettamente correlate alla necessità di un progressivo spostamento del “baricentro” in Sardegna, e della creazione di un sistema particolare generato dal basso. Il programma è dunque il frutto di un lungo percorso di dialogo attraverso la tecnica degli OST, iniziato nell’ottobre scorso.
La parola d’ordine di Sardegna Possibile è dunque micro-modelli: si tratta di una politica del lavoro strutturata secondo le esigenze dei singoli territori, concordata con le comunità interessate e finanziata direttamente dalla regione per i primi tre anni.

Gli ambiti prioritari d’azione dei micro-modelli sono l’industria e la nuova industria, l’agricoltura, l’artigianato tecnico e artistico, l’istruzione scolastica, la cultura e i beni culturali e identitari e il turismo. Per ognuno di questi ambiti (e in combinazione trasversale) è previsto il varo immediato di un numero variabile di modelli triennali (da 40 per l’agricoltura a 10 per l’istruzione) nel primo anno, un numero pari nel secondo anno e un numero doppio per il terzo anno di attività, quando i risultati dei primi due anni offriranno una base di verifica sufficientemente certa.

Lo sguardo è rivolto verso il definitivo abbandono di modelli lavorativi imposti dall’esterno e la bonifica e riqualificazione delle vecchie aree industriali in favore di un modello sostenibile. L’effetto secondario, ma non meno importante, è l’impatto che una simile politica avrebbe sulla società sarda, per quanto riguarda la conservazione delle particolarità e l’arresto del declino di un patrimonio culturale legato ai mestieri in via d’estinzione, inevitabilmente sacrificati per correre dietro all’ultimo “salvatore” dell’isola, proveniente talvolta dai paesi più improbabili, che “porta lavoro” perché “ha i soldi”. Si riparte dalle comunità, si tutela il piccolo.

Le ricette capitaliste hanno fallito. E in Sardegna abbiamo sperimentato con successo la realtà del Sardex: un sistema di credito che coinvolge 2mila aziende sarde e ha generato un circuito reciproco di credito, come fosse una moneta complementare. Al suo interno circolano quasi 6 milioni di euro ed è in crescita del 300 per cento. È una risposta anticapitalistica, che sottrae potere alle banche.

Ciò che mi ha colpito di più dell’idea di Sardegna Possibile è il desiderio, che traspare forte da ogni riga del programma di governo, di rafforzare i legami all’interno della società sarda, di creare un senso di comunità sempre più forte e dimostrare che l’alternativa alla frammentazione e alla dispersione esiste, ma va coltivata e promossa attraverso ogni azione politica. Alla faccia di chi pensa ancora che esistano cose “da fare” e basta, al di là della politica, prive di qualunque valenza ideologica e immuni da conseguenza a catena. Le proposte mi convincono e mi fanno sperare per il meglio. Il mio in bocca al lupo va dunque a Michela Murgia e alla squadra intera: che questa terra torni a sorridere davvero, una volta tanto.

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  1. [1]Da un post sulla pagina facebook di Cappellacci, il 23 gennaio: «Infine comprendo che mi definisca un “pessimo ex armatore”, visto che conoscerà armatori sicuramente più “bravi” del sottoscritto, ma non altrettanto attenti agli interessi dell’isola. Temo che quando immagina una nave e scrive “a noi sardi il compito di rimetterla in piedi” qualcuno le possa rispondere: “Iamme”». Due miei commenti negativi sono stati immediatamente cancellati da Cappellacci o dal suo staff.
  2. [2]Mi riferisco, naturalmente, al nazionalismo italiano.
  3. [3]http://francescopigliaru.blogspot.it/2012/01/riforme-per-crescere-flexecurity-e.html
  4. [4]Faccia a faccia con Francesco Pigliaru“, andato in onda su Videolina il 23 gennaio 2014.