La rivoluzione di Aristan, l’università felice

Logo dell'università di Aristan
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Ieri sera sono andato a Sassari per seguire la presentazione dell’università di Aristan, un progetto che ha fatto molto parlare di sé in questi ultimi mesi perché promette di ritagliarsi un posto di primo piano nell’ambiente culturale alternativo della Sardegna, potendo contare sulla partecipazione di docenti illustri che provengono da settori molto diversi fra loro, dal mondo dello spettacolo al più rigoroso ambiente accademico.

L’idea della facoltà di Scienze della Felicità, corso di laurea in Teoria e Tecniche di Salvezza dell’Umanità, è nata dalla mente di Filippo Martinez (che nell’università sarà titolare della cattedra di regalità), artista sardo e regista del programma tv Sgarbi quotidiani. Martinez parla con orgoglio di un corso destinato agli animi sensibili, finalizzato alla ricerca della felicità in senso lato, così come ad una formazione politica del laureando. Il problema, al giorno d’oggi, è che i ragazzi scelgono i corsi di laurea solo in base a quante opportunità di lavoro questi potranno garantire; mentre è chiaro che se una facoltà non offre alcun titolo riconosciuto ufficialmente, gli studenti non potranno che frequentarla per passione; caratteristica, quest’ultima, che i fondatori offrono a garanzia del livello di studenti, corsi e docenti.

Oltre a Martinez, ieri sera c’erano Michela Murgia, Manlio Brigaglia e Marco Schintu, per presentare i corsi della futura università – per il momento ancora un’utopia, che prenderà vita solo se si raggiunge la quota minima di 380 caparre versate entro natale. Prima ancora di entrare nel merito degli insegnamenti, si parla subito di denaro: €190 l’iscrizione (meglio se in contanti, sconsigliate le transazioni elettroniche), più i costi degli eventuali soggiorni presso la struttura che ospiterà i corsi (l’Horse Country di Arborea), con possibilità di pacchetti vitto & alloggio per il week-end.

Sia Martinez che Murgia intervengono più volte sottolineando il ruolo sovversivo della felicità – contrapposto, evidentemente, a quello più conservatore della seriosità. I docenti, personalità di spicco della cultura sarda e italiana (con qualche eccezione), showmen e filosofi, erano rappresentati da una delegazione che ha improvvisato a braccio le bozze dei programmi: Brigaglia si è gettato nel vortice di un ricordo d’infanzia per introdurre il suo corso (che tra l’altro non ha neppure il titolo scelto dal docente: infanziologia anzichè infantologia, come fa notare egli stesso a Martinez nel corso dela serata), ma quando il racconto è terminato si è capito subito che non c’era altro, se non la dichiarazione di voler utilizzare i ricordi d’infanzia in senso storiografico, sperando che tra gli studenti ci sia qualcuno di età abbastanza avanzata per poter narrare qualcosa di interessante. Schintu, invece, tenta di presentare il suo corso sulla paura, ed esordisce con “però vi parlerò di mio cognato”; poi apre un file powerpoint per aiutarsi, ma più che descrivere il programma elenca una serie di punti che verranno affrontati nelle lezioni, del tipo aspettando l’ambulanza, dando l’impressione di aver abbozzato il tutto non più di una mezz’ora prima.

Il clima è festoso e le risate non mancano; nell’ebbrezza dell’entusiasmo le parole scivolano con facilità, e i docenti chiariscono il motivo portante del progetto, ciò che spinge per far nascere la nuova università. Confesso che ho provato una rabbia feroce nel vedere persone per le quali nutro una grande stima mostrarsi con l’aria di essere state pescate a caso da una lista di nomi, e insistere nel definire politico e sovversivo un progetto che appare frammentario (ogni insegnante farà al massimo tre lezioni di 40 minuti ciascuna, quindi svolgerà piuttosto dei brevi seminari), disordinato (non c’è un filo conduttore che lega i vari insegnamenti, solo l’imperativo di insegnare qualcosa che abbia contribuito alla felicità dei docenti stessi, e in generale il perseguimento della felicità), sostanzialmente di intrattenimento (l’università gioca tutto sui nomi noti e sul loro seguito di discepoli, ma manca completamente un criterio di continuità: non si spiega altrimenti che cosa possa accomunare persone come Michela Murgia e Vittorio Sgarbi; considero questa la premessa più sbagliata dell’esperimento).

Il vero punto dolente della questione, però, è che l’idea viene presentata come sovversiva facendo leva sul discredito della cultura accademica tradizionale, snobbata con sarcasmo in quanto scelta troppo spesso per ragioni utilitaristiche da parte degli studenti, ma fallisce nell’offrire una proposta credibile; l’alternativa indicata è quella di corsi per cui se sono felici i professori saranno felici anche gli studenti, e si appoggia su luoghi comuni quali la distanza fra professori e allievi nelle università vere (che sarà abolita nei miracolosi corsi di Aristan), la natura necessariamente fuori dal comune di chi sceglie, con coraggio e spirito di intraprendenza, di puntare su un esperimento tanto rivoluzionario da non poter essere neppure spiegato come si deve; un clima che, a tratti, mi fa piombare indietro nel tempo a quella volta in cui assistetti sgomento ad un raduno del Rinnovamento dello Spirito Santo. Più laicamente, queste banalità danno un sapore reazionario all’esperimento stesso, almeno a giudicare dalle premesse. È irricevibile la proposta di un corso con confini tanto labili, che si pone lo scopo di sviluppare un discorso politico in tre lezioni a testa, e snobba sulla fiducia il resto della formazione ordinaria (che non potrà mai essere all’altezza di un percorso in cui ognuno dei quaranta tira dalla sua parte). È inaccettabile perché è sostenuta anche da chi impegna quotidianamente la propria credibilità per creare una coscienza politica, questa volta autentica, attraverso il metodico smantellamento di tecniche retoriche e demagogiche che ieri sera, purtroppo, sono state utilizzate in abbondanza; e da professori-istituzioni che sembrano aver trovato più lo svago del fine settimana che la volontà di costruire qualcosa di sensato.

Per finire, ricordo un articolo che lessi qualche anno fa, forse scritto da Gramellini sulla Stampa (ma non ne sono certo). Dietro il microfono dell’aula magna di un’università in cui era stato invitato per fare un intervento, Fabio Volo colpevolizzò con supponenza gli studenti che lo ascoltavano in silenzio, svelando loro che avevano scelto di fare l’università solo in vista di una futura occupazione, o per stare parcheggiati nel limbo a spese dei genitori, e non certo per passione o amore della cultura. Ricordo bene quelle righe: dicevano anche che nessuno degli studenti presenti si fosse alzato in piedi per replicare – signor Volo, io non ci sto: seguo i corsi di questa università e amo ciò che studio, non accetto che qualcuno possa interpretare in modo tanto superficiale i miei intenti e dire stronzate a proposito dei miei sacrifici, né tantomeno che possa parlare a nome mio. Credo che la felicità possa essere difficilmente insegnata o suggerita con qualunquismo come fa lei, ma si trovi nella ricerca del proprio percorso e nel perseguirlo con coerenza e passione, non facendo zapping fra un corso e l’altro, aggiungerei banalmente io.

Fonti:
http://www.aristan.org/
http://www.horsecountry.it/
http://www.ustation.it/articoli/1150-nasce-