La verità su Quirra

È da molto tempo che non scrivo un articolo su questo blog, e oggi è sicuramente arrivato il momento di ricominciare: questa mattina ho letto un articolo che invitava ad ascoltare la deposizione del procuratore di Lanusei Domenico Fiordalisi sulle indagini effettuate a proposito del poligono interforze del Salto di Quirra. La registrazione è dell’8 maggio, giorno in cui Fiordalisi ha presentato l’esito delle ricerche davanti ai senatori della commissione parlamentare d’inchiesta istituita per studiare l’argomento. Ascoltare il contenuto di questa registrazione è agghiacciante, ed è qualcosa che tutti dovremmo fare per essere consapevoli della misura in cui lo stato italiano, i governi della regione e le aziende che effettuavano i test nel poligono abbiano distribuito la morte indisturbati per tutto questo tempo. È inspiegabile come la notizia di questa importante conferma non abbia provocato una tempesta, ma solo un articolo sulla Nuova Sardegna che è ormai passato nella colonna dell’oblio.

Ascoltate la registrazione: sentirete parlare del torio, di come questo elemento sia stato disperso nell’ambiente e della pericolosità estrema delle particelle alfa che vengono generate dai figli di questa sostanza. Fiordalisi spiega come il torio sia molto più dannoso dell’uranio impoverito, e che il territorio dove si trova il poligono ne è impregnato. Sentirete raccontare come sia andato a finire nelle forme di formaggio, nei vermi, nei funghi, nei pastori e negli animali. Nei porcellini nati con sei zampe, negli agnelli con un solo grandissimo occhio. 1187 missili MILAN che sono stati lanciati prima del 1999 e hanno riempito la terra di merda chimica, dappertutto. Fosforo bianco che nel 1980 ha ucciso due pastori. Fusti di Napalm sotterrati invece di essere smaltiti. Organi di controllo connessi con le aziende da controllare, che falsificano i dati per dimostrare in un modo o nell’altro che in Sardegna non si muore.

Dopo la deposizione del procuratore, il poligono sembra essere vicino alla chiusura definitiva.

Qui potete ascoltare cosa è successo veramente in quell’angolo di Sardegna negli ultimi 60 anni.

Tentazioni leghiste in Barbagia

Francesco Bussu, sindaco di Lodine

Lodine, 380 abitanti, è uno dei comuni che la manovra finanziaria potrebbe cancellare dalla Barbagia. Pur di evitare questa conseguenza nefasta, il sindaco Francesco Bussu dichiara di essere disposto ad un’alleanza con la Lega Nord, perché «loro hanno più forza, sono al governo e la pensano come noi in tutto.»

Il sindaco Bussu appartiene al partito indipendentista Sardigna Natzione. Oltre a contraddire uno dei principi fondanti del partito (quello della non collaborazione  con le forze italianiste e unioniste), la sua dichiarazione è aberrante per almeno due motivi:

  1. È l’ennesima dimostrazione di come, in Sardegna, i rappresentanti di un gruppo che porta avanti una rivendicazione nei confronti della regione o dello stato si lascino sedurre facilmente da affiliazioni bizzarre, che sembrano poter offrire soluzioni semplici o “magiche” a problemi complessi. Mi viene da pensare al recente viaggio in elicottero di Flavio Briatore a Bitti per un incontro con alcuni rappresentanti del Movimento Pastori Sardi, durante il quale il proprietario del Billionaire ha promesso promozioni miracolose dei prodotti dei pastori, e ha dispensato i soliti consigli da quattro soldi alla comunità. Da quell’incontro ha preso le distanze Felice Floris, leader del MPS. Il punto è che spesso si preferisce tentare la strada della carità e dell’intervento paternalistico (Bussu: «ad appoggiare la nostra protesta per fortuna c’è anche il ministro Maroni»), anziché quella dell’unione delle forze “sane” nel portare avanti una protesta coerente e dignitosa.
  2. Ben più grave è il parallelo tra l’indipendentismo e il leghismo, che emerge chiaramente dalle esternazioni del sindaco. Già è difficile percorrere il campo minato dell’opinione pubblica in un momento nel quale l’affermazione del secessionismo leghista ha creato un clima di diffidenza verso chiunque sostenga battaglie per l’emancipazione delle comunità, e ha condannato ogni sforzo per recuperare e valorizzare le proprie radici linguistiche e storiche a puzzare del peggiore nazionalismo, al sospetto della gente, a dover premettere una giustificazione prima di parlare di folclore. Ha provocato, per reazione, un italianismo forzato che si deve opporre a quel disonesto tentativo di smembramento. Una sola dichiarazione come quella di Bussu polverizza in un istante ogni presa di distanza compiuta in questi anni dall’indipendentismo sardo moderno nei confronti del “pensiero” leghista, col quale non ha nulla da spartire. Poco conta che si parli di SNI o Progres: temo che per le masse distratte, il salto da Sardigna no est Italia alle cazzate sparate da Bossi con un filo di voce sia meno lungo del previsto, e che il danno ricada sull’indipendentismo in generale. Il rischio è che per un passo fatto in avanti, uno contrario equivalga a cento che riportano il dibattito indietro nel passato, con uno sforzo minimo.

Emigrare, ritornare e provare rabbia

Questo editoriale è apparso oggi sul primo numero di Sardegna 24, il nuovo quotidiano sardo diretto da Giovanni Maria Bellu (L'Unità). È un ottimo giornale, a pagina tre c'è un interessante inchiesta sugli sprechi della giunta Cappellacci in sfarzi misti per il varo della "flotta sarda", le pagine culturali dedicano spazio al festival di Gavoi e ospiteranno un diario giornaliero dei 50 concerti di Paolo Fresu in giro per l'isola, scritto di pugno dallo stesso artista.


Foto: "lost", Francesco Sanna

Chi vi scrive è un emigrato fortunato. Uno dei seicentomila sardi che hanno lasciato la Sardegna per lavorare altrove. Ma in una posizione di privilegio, comoda, protetta. All’inizio mi pareva strano che si usasse la stessa parola – emigrato – per operai e soldati, camerieri e minatori, gente che si spezza la schiena per mettere assieme il pranzo e la cena, e per categorie privilegiate quali gli imprenditori e, appunto, i giornalisti. Ne ho recuperato il senso generale lentamente, incontrando emigrati sardi in Italia e nel mondo, dagli Stati Uniti all’Australia, dalla Germania all’Argentina, e scoprendo che avevamo condiviso tutti, indipendentemente dalla professione e dal censo, lo stesso processo: la trasformazione della nostalgia in rabbia. E’ un processo lento ma inesorabile. A un certo punto si esaurisce il piacere di perdersi nelle strade sconosciute e cominci a vedere il dolore e la solitudine metropolitani, poi un giorno l’acqua torbida di Ostia t’immalinconisce e la memoria del Poetto ti strugge, poi un altro giorno incontri in Somalia uomini che si uccidono per contendersi un pezzo di deserto e rivedi come un Eden gli spazi immensi della tua infanzia in Barbagia. E siccome avevi ormai cominciato a misurare le distanze col passo del luogo straniero, quei flash di memoria ti restituiscono il senso dell’essere la tua terra “quasi un Continente”. Scopri che quella definizione abusata, troppo spesso ripetuta, che ormai quasi ti irritava, è esatta: non esiste al mondo un altro luogo dove, in un così piccolo spazio, si concentri il mondo. Il passaggio dalla nostalgia alla rabbia è un viaggio a ritroso: cominci a rivedere la tua terra in ogni angolo del pianeta. E più lo giri, più la ritrovi: ti perseguita. Poi magari per il tuo lavoro ti capita d’incrociare le storie di uomini che lasciano la loro terra, rischiando la vita, spesso perdendola nel Mediterraneo, perché proprio non possono restare nel luogo dove sono nati, e allora ritrovi la consapevolezza della tua fortuna. Non è scontata la democrazia, non è scontato il benessere. Bisogna coltivarli. La democrazia va coltivata con lo stesso amore con cui si coltiva la terra. Cominci a notare le occasioni perdute e i talenti dissipati. Li ho visti, in queste settimane, mentre formavo la redazione di Sardegna24: decine e decine di curricula stellari, studi di eccellenza nelle migliori università del mondo, ed esperienze lavorative misere segnate da retribuzioni modeste e precarie. Il nostro futuro umiliato a favore degli amici degli amici, dei raccomandati, dei furbi. Rilevi che un tempo, quando sei partito, per lo meno agivano di nascosto, si vergognavano. Oggi, invece, quasi rivendicano come un valore la loro cialtroneria e la loro amoralità. Aguzzi lo sguardo e pensi che con tutta quella terra, con tutto quel mare, con tutta quella varietà, potremmo essere ricchi. Ricchi nella misura giusta: quella che dà a tutti i bambini che nascono le stesse opportunità. E constati che non solo non è così, ma che siamo gli ultimi. Gli ultimi nella pur misera ripresa del Paese, gli ultimi nella capacità di rivendicare i nostri diritti. Siamo minores – come i tiranni del malaffare che oggi come ieri dobbiamo buttare a mare – minores e patetici. Siamo giunti a utilizzare alcuni dei luoghi sacri della nostra memoria – Scintu, Dimonios – per coprire – come raccontiamo in questo nostro primo numero – l’incapacità di utilizzare le leggi per salvaguardare i nostri diritti. Povera Sardegna massacrata dai mediocri e dai vassalli. Povera Sardegna che umilia se stessa umiliando le sue migliori intelligenze. Povera terra mia trasformata nel bordello di un miliardario senza dignità. Può finire così una privilegiata esperienza migratoria. Semplicemente con la rabbia che nasce dall’indignazione. Non esiste il giornalismo obiettivo. Esiste il giornalismo onesto. E’ la più importante tra le cose che ho imparato da Eugenio Scalfari quando, più di vent’anni fa, andai a lavorare a Repubblica. Non esiste il giornalismo asettico, esiste il giornalismo che offre un punto di vista sul mondo, come abbiamo tentato di fare in questi ultimi anni con Concita De Gregorio a l’Unità. Esiste solo il giornalismo che riferisce la verità sostanziale dei fatti, senza travisamenti e senza censure. Il giornalismo che informa. Quello dove i lettori comprano i giornali non per contare i morti, ma per capire i vivi. E’ un lavoro duro che richiede pazienza e umiltà. Gli editori di questo giornale mi hanno garantito assoluta autonomia, e la eserciterò in pieno. Sarete voi, i lettori, a giudicare. E sarete voi stessi i protagonisti di questo progetto, perché Sardegna24 è il giornale che avete tra le mani, ma anche un sito internet, una radio. Una “piattaforma multimediale” aperta al contributo di tutti. Oggi, in questo primo numero, ho pensato che la cosa più onesta fosse rendere esplicite le motivazioni. Secondo la lezione di uno dei più grandi report del nostro tempo, Ryszard Kapuscinski, credo nel giornalismo che cambia la realtà e dà voce agli ultimi.

Giovanni Maria Bellu – http://www.sardegna24.net/